lunes, 28 de marzo de 2011

...Anno 2011...Rientro a Quito...

 IL VIAGGIATORE QUALSIASI IL 25 MARZO 2011 SCRISSE:

Airbus A 340-300, è passato quasi un anno dall’ultimo viaggio all’equatore, il grosso aereo di Iberia mi stà riportando a Quito, la capitale di uno Stato di 14 milioni di anime (chissà, forse, di più, dato che molti sono rientrati in patria costretti dalla crisi economica in Europa)  e con, forse, il record di avere 70 vulcani, più o meno tranquilli, che arrivano alla vertiginosa altezza di 6.310 mt (il Chimborazo).                                                                                                                                                                       La “suerte” (fortuna) mi ha assegnato un posto nel blocco centrale dell’aereo  con 2 poltrone libere a lato (l’idea è quella di stendermi  per cercare di dormire un pò), accanto a me (“a 2 poltrone di distanza”), cè un giovane ecuatoriano, il suo nome lo scorpirò con una certa difficoltà, è, Tomo.  Il ragazzo (12 anni) viaggia da Valencia a Guayaquil da solo perchè la madre (risposata) vive in Spagna e il padre (risposato) vive in Ecuador, ha passato un anno e mezzo coccolato dall’affetto della “parte” spagnola, studiando, mangiando, divertendosi, e conoscendo una cultura a lui sconosciuta, è in piedi dall’alba e sonnecchia stendendosi su un bustone rigido che contiene (lo scoprirò poi) un gioco “Game” che gli hanno regalato, una speranza forse, che non si dimentichi i cari appena lasciati.             E’ un “tipo”  in gamba, bene educato, fà le giuste e misurate domande, non dando molta confidenza, regalandoti però un sorriso a piene mani che, mi conquista e  fà si che decida di adottarlo per le 11 ore che dura il viaggio (e rinunciando ai 2 posti liberi...).                                                                                 Tomo, come molti ragazzi della sua età, è ben curato, i capelli con vezzosi ricci all’ultima moda, fermati da una dura gelatina (a un mio gesto di scomporgli i capelli, mai l’avessi fatto, si ripettina controllandosi che la piega riprenda la sua forma, mai e poi mai, spettinarlo!) ha già indosso i pantaloni corti, indispensabili per chi vive nella calda Guayaquil (penso con brivido come ha affrontato la fredda mattinata valenziana), e l’immancabile busta con tutti i documenti utili per i minorenni non accompagnati, ha poca fame, molto sonno però accetta di buon grado la mia offerta che, quando inizieranno a proiettare i film, di svegliarlo, mi sento appagato!.                                                                Due i film in programmazione “Red” e un noioso quanto inutile, ultimo uscito, “Harry Potter”, muovendo i comandi dell’audio o delle luci, ci si accorge che l’aereo ha i suoi anni di vita ma, sopratutto, scarsa manutenzione...la crisi...e come l’aereo, l’equipaggio sembra ne faccia parte integrante, gli stessi anni passati insieme...la gentilezza risulta di etichetta, stanca e annoiata, un servizio scontato, rutinario,  questa è, Iberia!                                                                                              Il viaggio scorre tranquillo con poche “buche” che ci obbligano a cinturarci, la lunga giornata si conclude, quindi, con l’arrivo, finalmente, nell’”imbuto” del Mariscal Sucre (l’aereoporto di Quito) che ci accoglie in un tipico pomeriggio nuvoloso/pioggia/sole/vento.         E’ venuto il momento di salutare il mio amico “passeggero” (dopo Quito l’aereo si dirigerà a Guayaquil),  gli auguro una vita piena di salute e fortuna ma capisco che le mie parole non gli arrivano perchè, lui, elettrizzato dall’imminente rincontro del padre e della famiglia guayaquilegna, già non fà parte di noi che scendiamo a questa fermata, lui già pensa a cosa la vita gli preparerà per il suo futuro senza fine...
Napaikuy Tomo!

...Lima...e poi...

IL VIAGGIATORE QUALSIASI IL !5 LUGLIO 2010 SCRISSE:

Dopo avere passato agevolmente sia i controlli doganali che quelli della sicurezza (nell’attesa, in aereoporto, ogni tanto il megafono chiamava i nomi di passeggeri diretti in Europa...è la prassi che eseguono ogni volta che il volo và al vecchio Continente, “a sorte”, cosi dicono, ma poi lo fanno con tutti, ” invitano” i passeggeri a scendere al deposito bagagli in partenza, ad aprire la valigia e a far controllare il contenuto...è una pratica folle...se facessero il controllo prima di fare il chek-in il tutto sarebbe più semplice, l’Europa non vuole ricevere “ufficialmente” la droga..., mentre invece essendo il nostro, un volo interno americano,...no ) ci riceve l’aereo della Lan proveniente da Cali (Colombia) e le assistenti di volo ci invitano ad allacciare le cinture di sicurezza mostrando per l’ennesima volta il filmato che indica tutte  le procedure di emergenza...si parte!.                   E’ anche oggi una splendida giornata a Quito, l’Airbus si alza agevolmente lasciando sotto di sè la città andina e infilandosi in una coltre di nubi che ci accompagneranno con schiarite e vedute spettacolari delle Ande innevate... fino alla “nube” fantozziana della capitale peruviana.            Eccomi di nuovo a Lima!, espletati i controlli di immigrazione esco dall’area bagagli e cerco il tassista con il mio nome, questa volta alloggerò in un Hostal differente, l’ho trovato in internet (il precedente Hostal, El patio,  non aveva posto) che per una cifra di 70 Dollari mi offre anche l’auto gratis dall’aereoporto, non male...finalmente un signore attempato fà capolino nella varietà di cartelli con nomi e cognomi di tutte le nazioni, è lui che ha il cartello con il mio nome ed è colui che mi prenderà in custodia...               Montati in macchina scopro che è figlio di italiani, venuti in Perù 70 anni fà e mai più ritornati a Carrara, il signore, sessant’anni portati male...mi racconta che prima era economista poi...i giovani hanno preso il suo posto e per campare lavora avanti e indietro con la sua auto che denota un uso “intenso” (come lui, e come i suoi occhiali da vista, sul cruscotto della macchina, sbattuti qui e là per il movimento della macchina...).              Per le strade già mi oriento, mi sento come in casa, sò dove ci si deve dirigere per arrivare a Miraflores (nata come rancho e poi cresciuta fino ad unirsi alla città madre) la città/quartire più elegante di Lima, la strada discende rapidamente fino a costeggiare il mare, qui continuano i lavori per ampliare la strada e per ricavare una “passeggiata” e una spiaggia artificiale...un posto di blocco della polizia rallenta la circolazione, cosa che permette al mio autista di mettersi la cintura di sicurezza...non si sa mai...               Mi rendo conto anche di un’altra particolarità di questa città, “non esiste il sistema per lo scarico delle acque piovane”! infatti non piovendo mai, Lima non dispone delle fogne per l’acqua che scende dal cielo e se per caso succede come è accaduto tempo fà...la città si ferma impazzita perchè, oltre alla felicità della gente, provoca seri problemi alla circolazione delle auto grazie a al fatto che si formano veri e propri “laghi”...(per non parlare delle case che non hanno i tetti adatti...anche questi come le strade sono “piatti”...non piove...).                 L’Hostal che mi accoglie è di qualità nettamente inferiore al precedente, la fotografia di presentazione mi ha tratto in inganno però almeno è vicino al mare, si fà per dire...esco e insieme a me finalmente il sole fà la sua tiepida però luminosa apparizione, le cose cambiano, tutto è più allegro, decido di dirigermi al mare...e qui ho come un effetto “miraggio”, lo spiego, abituato nelle nostre città a vedere, “a livello del mare”..., mentre ci si avvicinina poco a poco ci si ritrova con i piedi immersi nell’acqua...bene, qui a Lima non è cosi’!                   Dunque, dicevo, camminando sull’Avenida Larco “vedo” il mare, mi avvicino (o credo di avvicinarmi) e arrivo fino a quello che io credo sia la delimitazione  fatta da una balaustra con la spiaggia...nulla di tutto questo, mi affaccio e un senso di vertigine improvviso mi prende...sotto di me si apre un intero Centro Commerciale a più piani con ristoranti, negozi, bar!... che scendono e scendono, ma non è finita li’, proprio sotto il Centro “Larcomar” a 300 metri più giù finalmente cè la spiaggia!!!! Caspita che effetto!!!! La vista si perde e ti ricordi allora che sei in un altopiano che si getta nel mare...                     E’ una sensazione bellissima, è come stare in una montagna e vedere lo spettacolo...l’Oceano Pacifico che si fà bello agli occhi di tutti noi affacciati ed emozionati, con la differenza che sei in piena città!!!                   Ripresa la passeggiata rientro nel traffico delle strade, tra i numerosi pulmini privati che circolano continuamente (sono da 20 posti a sedere, non voglio pensare quanti in piedi...) con le scritte che ti indicano i quartieri dove fanno servizio, e poi i taxi...sono tanti...ma tanti...cè da pensare che in questa città ci sia un taxi ogni due auto, o meglio, qui chi ha un’auto è un potenziale tassista...basta comprarsi delle strisce una bianca e una rossa (catarifrangenti) e applicarle nella carrozzeria o magari spendere di più e montare il dispositivo luminoso e... “voilà” la tua macchina è diventata un taxi!!!! (ovviamente è superfluo ricordare di contrattare il prezzo prima di entrare nel mezzo...comunque nessuno ha il tassametro!) e se camminando senti che ti chiamano o ti suonano o vedi che accendono gli abbaglianti non è perchè hai fatto colpo...(ma chi ti credi d’essere...), nulla di tutto questo, sono i “Tassisti” che si fanno “pubblicità”, ti corteggiano,  hai bisogno di un taxi e non sai dove trovarlo? ma è qui, accanto a te, pronto all’uso!!             Ho poi portato a un ciabattino (la cosa mi ha fatto sentire uno del posto...) che per 25 Soles (1 Euro) ha promesso di ricucirmi un borsone che mi ero fatto fare a Quito (la sarta, molto brava..., ha usato un filo “normale” e all’arrivo a Lima il borsone, pieno, era quasi sfatto...), e poi per necessità di “Soles” (la moneta locale) ho cercato uno “scambista”.               In questa avenida è facile incontrarne  molti, li vedi con facilità perchè hanno applicate le scritte sul giubbotto in verde fosforescente, nelle guide turistiche ti sconsigliano però il tutto è assolutamente legale..., mi dicono che oggi il dollaro è sceso, bene allora cambio gli euro (mi sento di nuovo ricco! siamo una Potenza...) e, avendo fame, decido che scarto il pollo alla brace (ottimo comunque) e mangierò un ottimo cheviche (si legge sevice), piatto di bandiera della costa pacifica, con la variante che in Ecuador è più una zuppa mentre qui è come un secondo piatto, ma ottimo lo stesso e il coriandolo ne fà da padrone...                 Bene, la giornata volge al termine per me, però la città continua a vivere la sua vita capitolina.. l’immagine che ti dà (parlo di Miraflores...) è quella di una città occidentale , sicura, per certi aspetti, per altri (tutta Lima), ti ricorda che sei in una bella e antica terra con segreti secolari che racchiude e che ama, e che distrugge (i terremoti...) e che è pronta a farli conoscere (in parte...) a chi si avvicini e con cortesia, chieda, veda ed ascolti...forse, rimandata dalla voce dell’oceano...qualche parola, qualche sussurro...se ascolti bene...ti arriverà...
Napaikuy Lima!!!...Napaikuy a te caro amico che hai con me condiviso questo bel viaggio!!
Alle ore 19 (di Lima)  il grande “bestione “ di Iberia ci riporterà in Europa, abbandonando rapidamente la notte sudamericana e incontrando il sole che, da vera “stella” ci ricorderà come il suo compito lo porti a compiere il suo ciclo sempre, e poi sempre..., come sempre, e poi sempre, la grande America del Sud continuerà a raccontare a tutti coloro vogliano ascoltarla..., la sua verità...

Caro amico, grazie per avere condiviso il viaggio che mi ha portato nelle splendide e affascinanti terre di questi Paesi sudamericani, uomini e donne che vivono la loro cultura e la loro vita, offrendo a noi curiosi le meraviglie naturali di cui dispongono.                  Oggi ci rendiamo conto sempre di più che il tutto però appartiene anche a noi..., siamo vincolati gli uni agli altri e ne siamo parte integrante..., sempre di più il nostro cibo e i nostri abiti provengono da siti nel mondo di cui nemmeno sappiamo l’esistenza...è per questo che ti auguro, un giorno, un giorno qualsiasi...di fare una piccola e comoda valigia e partire..., a raccontare anche tu, magari, le Memorie di un viaggiatore qualsiasi..., a te questa dedica, e a te, questo augurio, Napaikuy!!












...“Ecuador in pillole” (ovvero, brevi racconti e aneddoti)...Parte 2

IL VIAGGIATORE QUALSIASI IL 14 LUGLIO 2010 SCRISSE:

E per finire...l’aereo per rientrare a Lima mi stà aspettando...
Guardie private
Forse esiste una guardia privata per ogni edificio o palazzina nella città di Quito (tranne quelle povere..ma, si sa, non hanno nulla...da rubare), li vedete tutti i giorni fare capolino dalle loro guardiole, annoiati o sopratutto “incuriositi” dal passante che molte volte, ti viene voglia di salutarli come degli amici...,sono infatti più che altro degli amici perchè come guardie di sicurezza il più delle volte non servono a  niente...tale è la noia di ripetere i pochi gesti di aprire e chiudere il cancello o il portone ai clienti (che si spera un giorno allunghino una mancia) che in caso di vera necessità, non hanno assolutamente nè la prontezza dei riflessi nè tantomeno la voglia reale di proteggere...infatti è più un rischio che altro e per quel poco che prendono non ne vale proprio la pena...poi le 12 ore al giorno fanno aumentare il senso di annullamento...a volte vanno in bagno dimenticado la pistola d’ordinanza nella guardiola...e a volte escono e chiacchierano con le altre guardie dei palazzi vicini (un tempo svago delle comari) non si sà poi bene di cosa...però guardano, salutano e poi...rientrano nella loro piccola tana dove si rimettono a guardare annoiati la televisione in b/n o a sfogliare vecchie riviste e aspettando il cambio del turno...che noia...
Parcheggiare a Quito
Prima e unica regola per la notte: se non avete dove parcheggiare la vostra auto (dico, in un’area chiusa) preparatevi a passare una notte insonne, gli allarmi che continuamente scattano per la città, uno di questi potrebbe essere il vostro...infatti per le strade di sera non vedi quasi un’auto parcheggiata tanto è il  “rischio, me la rubano”...ci fanno crepare d’invidia a noi poveri automobilisti italiani, tutti (o quasi...) hanno un’area sicura, chiusa, dove lasciare l’auto la notte...per fare i famosi...sogni d’oro...                                   L’altro giorno (di sera...) ero in auto e  l’amico che guidava si “scandalizzò” perchè “una macchina era parcheggiata maluccio nella strada” , e vi dico che nella strada c’erano si e no 2 o 3 auto...senza traffico, caspita, e allora, in Italia...mah...non ho saputo ribattere tale era il mio stupore...O soleee mioooooo...
 Automobili a Quito
Nella bella e alta città ci sono due categorie di auto: fuoristrada, o, normale ma scassata (i taxi fanno un’eccezione, sono sia nuovi che da rottamare...), chi ha i “soldi” compra la macchina con i vetri anti-sfondamento e chi no, no.                             Molto spesso i ladri infatti approfittano del semaforo in rosso per, magari, sfondare il vetro, puntarti la pistola e fare fuori, se ti va bene, il cellulare, sennò...metodo “Re Magi”...oro, argento..., il proprietario della macchina  con i vetri anti-sfondamento spera cosi’ di cavarsela...però non sempre può andare bene perchè, se si è dimenticato di mettere le sicure...o ha il finestrino aperto...
I ladri a Quito
Ci sono differenti tipi di ladri (forse è la categoria più pagata della città...), quelli che viaggiano sui bus stracarichi...quelli che vanno rapinando i taxisti...quelli che vanno alla ricerca della macchina parcheggiata “fuori” casa (che pacchia!)...quelli che rapinano per strada...quelli che rapinano le auto ferme al semaforo e quelli che non entrano nelle case con il vigilante perchè...talmente sono annoiati che, spaventandosi...potrebbe “uscire” un colpo fortuito e scappare il morto...meglio evitarli!!...
Caspita, stanno chiamando proprio il mio volo...arrivederci o...meglio...Napaikuy Quito! Qayakama Ecuador!!!!!

...Scuola di teatro a Quito...

IL VIAGGIATORE QUALSIASI L'11 LUGLIO 2010 SCRISSE:

Sono al mio quarto viaggio in Ecuador e, avendo come “struttura nel mio DNA” il teatro (avendoci “vissuto” dall’età di 17 anni..) giusto alla mia seconda puntata a Quito, venni a conoscenza (non si riesce a stare lontani dal palcoscenico...) che qualcosa covava nella città a 2.800 metri di altezza s.l.d.mare...una scuola di teatro in tutta regola.            Da buon europeo, abituato a un sistema oramai collaudato che ha dato l’opportunità di formare tanti professionisti negli anni, mi incuriosiva il fatto che in Ecuador esistesse una scuola per futuri artisti (devo dirlo apertamente, conoscendo le difficoltà in cui vive l’università di Quito, mai avrei pensato che invece l’arte avesse un assoluto rispetto e quindi esistesse) .                Conobbi cosi’ Jorge Mateus (regista) e la Scuola di Teatro dell’Università Centrale, complesso appoggiato sulle dolci però energiche pendici del Vulcano Pichincha... chissà, tutto in questa città è legato al vulcano...il carattere della gente qui non è nè brusco nè tantomeno violento..un’ estrema gentilezza è permanente, la stessa gentilezza che poi (con mia piacevole sorpresa) ho trovato negli studenti dell’Università (ricordo sempre le Università italiane, fretta, anonimato, distacco...), qui a Quito è come vivere improvvisamente un tempo “rilassato”, non esiste la fretta e se fretta cè, mai innervosirsi...non cè nè bisogno, non fà parte di questa cultura...il tempo qui è “relativo”...                Dicevo di Jorge, insieme ai suoi colleghi (Santiago, Madelein e Marcelo) sono i quattro Maestri che hanno l’incarico di prendere in consegna il gruppo di allievi dal primo anno scolastico (una media di 30 per anno) forgiandoli e seguendoli per 4 anni per poi consegnarli alla società per iniziare cosi l’avventura della vita...            E’ un lavoro paziente però pieno d’amore (ve lo assicuro), con pazienza e, sopratutto, calma, comunicano il rispetto delle regole e, insieme ai professori dei differenti segmenti quali attuazione, danza, musica, storia del teatro, estetica, lingue, educazione fisica, e poi storia dell’arte, controllo vocale sia nello spazio scenico che di fronte a un microfono...faranno si’ che l’allievo impari tutte le regole per diventare un serio attore professionista.              Ricordo (e non me lo dimenicherò mai) la prima volta che entrai nel Teatro della scuola per assistere alle prove di un delizioso quanto duro testo “Peccato che sia una sgualdrina” di John Ford, che Jorge dirigeva, quel giorno vari operai lavoravano nel tetto di lamiera del teatro, era un “taglia e salda” necessario perchè le pioggie continue producevano un effetto “pozzanchere” all’interno del teatro e gli operai con ripetuti colpi che riuscivano a farsi sentire in maniera assolutamente “diretta” all’interno dello spazio scenico, non potevano fermarsi, bene, nonostante tutto, sia gli allievi che Jorge, lavorarono concentratissimi come se nulla stesse accadendo, isolati completamente dal resto del mondo...mi dimostrarono un’assoluta professionalità, il lavoro doveva essere eseguito nelle ore previste e non ci si poteva fermare per nessuna ragione...quel giorno capii molte cose di questo mondo andino...da quando li conosco, mai e dico, mai, sia Jorge che i suoi colleghi mai hanno alzato la voce, mai si sono permessi di “mettersi in cattedra” , sempre il rispetto hanno caratterizzato il loro lavoro, cosa che è recepita e messa in pratica da tutti gli allievi, ma la cosa non si ferma nell’ambito del teatro, anche negli altri corsi dell’Università Centrale di Quito si respira la stessa “aria” tranquilla, non esiste la fretta, e perchè poi dovrebbe esistere...mah...assolutamente una grande filosofia di vita...Napaikuy Università Centrale!!   

...“Ecuador in pillole” (ovvero, brevi racconti e aneddoti)...

IL VIAGGIATORE QUALSIASI IL 10 LUGLIO 2010 SCRISSE:

Brevi e importanti notizie su come degli uomini (Padri cattolici) hanno apportato per l’Ecuador importanti  cambiamenti...
A Quito un Padre americano ebbe l’idea di riunire sotto un unico tetto  molti anni fà (1964), i ragazzini della strada (molti di loro lustrascarpe) insieme alle loro famiglie, dando la possibilità di studiare disponendo di vari pasti al giorno sicuri per apprendere attraverso lo studio, un futuro lavoro.                          E’ lunga la giornata nei complessi che oggi ospitano il “Centro del muchacho trabajador” (ovvero, Centro del ragazzo lavoratore, www.centromuchachotrabajador.org ) nei differenti quartieri di Quito: Cotocollao, La Marin oppure nella “Gota de leche”, altra struttura dedicata in prevalenza all’assistenza dei piccoli denutriti.                    Circa 2000 persone vengono oggi aiutate a vivere una vita migliore e a sperare in un futuro, dalla doccia giornaliera a cui devono sottoporsi i giovani (con un controllo per evitare scomodi “ospiti”, il tutto segnato su cartelle per confermarne l’igiene)  ai controlli sanitari (varie centinaia sono i collaboratori esterni che interni che danno il loro apporto gratuitamente) che a corsi di prevenzione e di formazione.                              I Centri chiudono solamente 2 giorni all’anno, le famiglie assistite vivono la loro vita al di fuori del Centro e uno spirito solidario li spinge ad aiutarsi come per esempio, quando uno di loro ha necessità di realizzare modifiche nella propria casa, si riuniscono per eseguire insieme il lavoro dedicando il loro giorno di riposo.
Sempre a Quito il coraggio e la volontà di Padre Giuseppe Carolo, italiano di nascita ma ecuatoriano nel cuore (ha vissuto 50 anni in questa terra ed è morto 3 anni fà) ha fatto realizzare uno degli ultimi e forse il piu importante  progetto da lui tanto desiderato: un ospedale  ginecologico e un servizio di emergenza 24 ore aperto a tutti, “Un canto a la vida” , questo il nome del complesso aperto da pochi mesi nel sud della città ha un sistema libero, chi può paga un tiket minimo di 3 Dollari  e per chi non può è gratis, è oggi il migliore in forma “pubblico / privata” di Quito.             Nei suoi 50 anni di lavoro Padre Carollo ha combattuto per realizzare molti progetti per le persone con poche disponibilità economiche come: centri medici, biblioteche, case, scuole, chiese e addirittura un’università!
Il “Salinerito” è un piacevole formaggio che noi ospiti di casa Rita gradiamo e mangiamo con molto piacere, ad ogni ora del giorno e della notte (molto spesso è la nostra cena), tagliato e messo sopra le fette di pane, scaldato nel fornetto è veramente gustoso, questo formaggio dolce/salato è commercializzato in tutto l’Ecuador oggi in 25 differenti tipi (compresi la mozzarella e il parmigiano, veramente è formaggio di pecora, gustosissimo, che con il parmigiano non ha nente a che vedere però à ottimo come accompagnamento alla pasta)  grazie all’energia e l’intuizione del Padre Antonio Polo, italiano che incominciò a mettere sù questo progetto dal 1970.                                                              Il formaggio viene prodotto nelle Saline de Bolivar o “Tomabela” (a quasi 270 Km s al sud di Quito), sulle montagne  omonime  (3.800 mt.) che poi scendono verso la vallata del Los Rio... verso l’Oceano Pacifico...                 Dalla mattina presto dalle varie fattorie vengono portati con gli asini i bidoni con il latte appena munto ai centri di raccolta che poi provvedono a far confluire il tutto al centro principale che stà proprio a Salinas de Bolivar.                 Il paese conta oggi anche su un piccolo Hostal che propone al cliente i vari prodotti della zona (nei piatti proposti anche ottime trote abbondanti nei suoi fiumi, o i funghi secchi), coltivato nella zona  anche il frutto del cioccolato che viene poi venduto alla Ferrero (che ha una fabbrica in Ecuador) e particolari le essenze che vengono raccolte in abbondanza.                         In totale sono quasi 30 le Comunità che partecipano a questo grande lavoro messo in piedi dal Padre italiano che ancora oggi dirige e stimola con nuovi progetti affinchè nessuno rimanga senza lavoro nella regione, dando anche la possibilità ai giovani di studiare e di approfondire la propria cultura e ampliandola ( www.salinerito.com ).           
Napaikuy, o, nella lingua di Rosi...Qayakama!         

...Casa Rita...

IL VIAGGIATORE QUALSIASI L'8 LUGLIO 2010 SCRISSE:

Si dice che nulla venga a caso nella vita... “per caso” io conobbi la casa di Rita Minoli.                La sua famiglia proviene dall’Italia, sia il padre (da qui il suo cognome) che la madre erano di Verbania, un piccolo paese vicino al Lago Maggiore, dopo la guerra la fame era tanta nel Bel Paese e, nonostante le promesse di nuovi e migliori futuri, il padre di Rita ebbe l’occasione di poter scegliere tra tre paesi all’estero dove poter andare a lavorare, scelsero, lui e la moglie, l’Ecuador, allora ancora vergine o, come meglio dicevano, scelsero...il Paradiso! Un paradiso allora poco battuto dai commerci  internazionali e vivere nella capitale, Quito, allora una piccola città di provincia.                           Il lavoro che poi lo accompagnò per il resto della sua vita, fu quello di impiegato in una fabbrica di cappelli di feltro di un’altro italiano, Eugenio Valle Norero, tale lavoro gli permise anche di potersi costruire la casa e poi un’altra e un’altra ancora...quest’altra ancora, è oggi la casa di Rita, in uno dei punti più rinomati della nuova città, costruita negli anni 60/70 immersa nel verde e isolata dal traffico  che scorre a qualche decina di metri.                                 Entrando in casa sembra che il tempo si sia fermato, è però una sensazione di tranquillità quella che ti accompagna, la casa che ha solamente un primo piano, rimane solitaria seppure abituata ad accogliere amici ed ospiti che oramai vengono da tutti i Continenti  (il passa parola...) e trovano qui il loro punto di riferimento.                             Il giorno inizia, ogni giorno...,alle 6 (vi garantisco che è un piacere svegliarsi a quest’ora) con la preparazione della colazione, un carrello a vari piani ospita generosi frutti che vengono sacrificati per il piacere di un ricco nutrimento per gli ospiti, è infatti la padrona di casa che, puntuale come un orologio, prepara minuziosamente le conche di frutta varia, lasciando poi ad ognuno il completamento della colazione a seconda dei gusti.                  E come un gioco teatrale, Rita esce a lavorare (è psicologa in una scuola) ed  appare verso le 8 la mitica Rosi, la nostra amica indigena, sempre elegante nel suo completo “locale” in camicia bordata e la gonna plissettata, viene dalla fredda mattina quitegna, ma è pronta, come sempre, a regalare un sorriso e una bella risata, tocca a lei preparare il pranzo e a governare la casa, ogni giorno con calma e sapienza prepara piatti leggeri e gustosi, mette in pratica le ricette per la maggior parte equatoriane (riso, vegetali in differenti proposte, carne...e frutti che non vengono disdegnati dalle pietanze salate con le quali si fondono perfettamente) e non disdegnando però i piatti che noi ospiti a volte prepariamo...(Rita il fine settimana si cimenta preparando con successo la  pasta fresca come, ravioli, tagliatelle, gnocchi di patate...eredità della madre...accompagnata dalla voce di un giovane Claudio Villa o altri cantanti degli anni 60 o 70, che fanno parte di una discreta collezione di “cassette” portate dall’Italia ai tempi.. ed è anche una grande amica sempre a disposizione ad ascoltare e a chiacchierare con tutti noi ospiti).                         La vita continua discretamente...è un entrare ed uscire nella casa...la giornata scorre tranquilla nel bell’ambiente accogliente e tanti sono gli amici che passano, chiamano al telefono...è un’altra maniera di vivere qui, l’Ecuador regala sempre il piacere di un sorriso, di una gentilezza, sarà forse l’altra faccia della medaglia di un Ecuador poco sicuro che cè all’esterno?..., forse, però sicuramente i genitori di Rita le hanno fatto un gran bel regalo, forse il più bel regalo della sua vita, farla nascere nel Paradiso....Napaikui!     








...Fregola sarda sulle Ande...(Parte 2)



IL VIAGGIAORE QUALSIASI IL 5 LUGLIO 2010 SCRISSE: 

 Dopo un viaggio abbastanza comodo arriviamo che ci aspetta Alberto (lavora come guardia privata in una rete di supermercati) con la sua camionetta nuova nuova (per un equatoriano con lo stipendio che guadagna, circa 300 dollari al mese non cè da stare allegri ), montiamo nel cassone sotto un bel sole/nubi/variabile ed accompagnati da una gallina viva...alla nostra richiesta del perchè l’animale vivo...accenni e parole mezzo rotte che non ci permettono di capire...bene, comunque si parte per la Esperanza dove ci aspetta una bella casetta che è il nido d’amore dei due...          La casa di Rosi e Alberto è stata disegnata da un architetto che ha utilizzato i materiali abbondanti nella zona come per esempio il legno di eucalipto, il risultato è una deliziosa casa molto accogliente, con le travi che scorrono in fughe e scorci che rendono il tutto piacevole e rilassante.        Dopo la sistemazione e un veloce pranzo usciamo per andare sul luogo della festa, viaggio in camionetta in piedi a “sfidare” l’aria (non ho più l’età ma la cosa meritava) e salita rapida sul monte scorrendo velocemente le centinaia di metri in su...e finalmente a San Clemente!                               Il villaggio in effetti non è quello che possiamo pensare noi, le case si perdono tranquille nel mare verde dell’abbondante natura che regala la terra del monte Ibabura, forse in tutto arriveranno ai 1.800 abitanti che per l’occasione della festa sicuramente si riuniranno numerosi per festeggiare.                    Con la gallina viva e un cartone di vini in brick facciamo ingresso in una casa grande ma molto semplice, terreno battuto e ricordi di pavimenti in cemento ci accolgono, sotto la tettoia troviamo vari indigeni che in silenzio, consumano un pasto semplice ma abbondante che la padrona di casa ha loro offerto.               Qui bisogna spiegare bene cosa succede, ogni anno il paese sceglie la famiglia che dovrà farsi carico dell’accoglienza dei visitanti ospiti (tra di loro parenti ed amici)  per cui si organizza utilzzando i prodotti che la stessa terra dà, primo fra tutti il mais di cui cè grande abbondanza che viene proposto in differenti varietà, dalla minestra, al pane, al succo, al dolce liquido (una crema con arancia e zucchero di canna, “champus”) e infine al liquore (“chicha”) leggero o forte, varianti sono la carne che appare nel brodo di mais.                             Il lavoro viene svolto grazie all’aiuto di molte donne che per giorni preparano l’accoglienza, per questo ogni amico che arriva porta alla casa cibarie per aiutare e contribuire alla festa (dello stomaco) e tra questi le galline o galli vivi  perchè tanti e tanti sono quelli che vengono offerti che se arrivassero già “deceduti” avrebbero necessità di congelatori e li...(ma la storia della gallina non finisce qui).                         Consegna
ta la gallina e il vino ci sediamo all’interno di una casa annessa, la semplicità e la povertà ci accolgono, capiamo  immediatamente che anche a noi toccherà una razione di minestra (caspita, la fregola, e adesso, quando la faccio?, 1 a 0 per gli equatoriani!) infatti dopo poco arriva gentilissima una ragazza  (in costume del paese, ma li’ alla fine eravamo noi “fuori luogo”) che incomincia a distribuire abbondanti razioni di zuppa, incominciamo a mangiare e ritorna con una “bacinella” piena di zuppa e poi un’altra...e poi cesti con pane e banane...io e l’amica americana ci guardiamo con stupore, ma la dobbiamo mangiare tutta noi e adesso?!                          Ci viene in aiuto la Rosi che ci rassicura, i contenitori di plastica che aveva portato nella camionetta serviranno giusto per portarsi via il contenuto delle bacinelle...tutto calcolato, tutto previsto, ogni anno si ripete il rito...e se proprio non riusciamo a finire la zuppa, niente paura, quello che avanza si porta via...sempre cè qualcuno che ha necessità di mangiare...               Nel mentre che consumavamo entravano ed uscivano continuamente uomini (alcuni con gambali alla vita fatti con pelli di caprone tipo cow-boy) e donne con il vestito del luogo (adesso lo descrivo: gonna plissettata con lame strette e camicia bianca con sbuffi e bordature in pizzo dello stesso colore della gonna, assolutamente importante il richiamo dei colori, collane di vetro dorato, grandezza di una lenticchia, ogni pezzo, con molti fili, quanti siano i fili è una scelta propria, orecchini e, immancabili sia il cappello di feltro con piuma di pavone che vari scialli tipo copertine che all’occorrenza servianno per proteggere dal freddo, e infine scarpe di tela nera aperte tipo di corda con un leggero tacco).                           A fine “merenda” salutiamo coloro che fino ad allora non avevamo salutato (cè un grande rispetto da parte di tutti e per tutti) e arriviamo, sempre nella camionetta di Alberto, a un agriturismo (si chiama Pukiu-Pampa, a quota 2.890 mt. ed è una delle punte avanzate del turismo della zona, www.sclemente.com ) dove ci accolgono offrendoci un delizioso thè di cedrina accompagnato da pane e confettura di more fatti da loro, finita la seconda...merenda ci ivitano a ballare su un tappeto di fagioli secchi, la tradizione vuole che l’ospite una volta consumato, balli sui fagioli...questo perchè essendo secchi, si apriranno grazie allo sfregamento dei piedi...è la tradizione!                     Salutati i nostri amici dell’agriturismo  ci spostiamo di nuovo a casa, Rosi e Alberto però non ci concedono tregua, bisogna fare in fretta perchè si torna sù alla festa e questa volta con un carico maggiore, si uniscono a noi la nipote con il marito e i loro 3 figli insieme alla nonna con il classico cappello e varie coperte, vengono con noi a San Clemente.                  Arriviamo che si è già rinfrescata l’aria, effettivamente gli evvertimenti fattici di portarci roba pesante non erano invano, la festa del villaggio è in corso, due le orchestrine su differenti palchi (che da noi non supererebbero nessuna autorizzazione...) allietano le danze, insieme a gruppi spontanei che suonano ritmi uguali usando violino, tamburo, chiatarra...insomma, quello che si ha!                      Poco a poco si vanno creando nuovi gruppi di danza, la cosa curiosa è che “non è una vera e propria danza”, si cammina “ballettando” in cerchio...la danza ricorda vagamente i ritmi degli indiani d’america del nord (vi ricordate le danze intorno al fuoco dei film western) con un ritmo più allegro (sudamericano...con le influenze della musica latina) è comunque sempre lo stesso motivo con piccole variazioni, a un cambio di suono i danzatori si girano cambiando il senso della marcia...                      Intorno e dentro il campo della festa infiniti coloro che accendono dardi e petardi (alla faccia della sicurezza) uniti ai venditori che cucinano i più svariati piatti, dalla carne con verdure infilzati in spiedini di legno alla classica pannocchia di mais cotta al bracere imburrata e spruzzata di formaggio, alle frittelle e al pesce fritto  , con pochi centesimi ci si bea e ci si diverte semplicemente.                 Il momento culminante della notte sono i fuochi artificiali,  creati con maestria, montati (lo scoprirò dopo) su torri di bambù alte 12 metri! E fatte girare continuamente affinchè tutto il pubblico possa godere dello spettacolo...intorno alle torri la danza continua, è come un delirante e impossibile da fermare “Sabba” è come un delirio però tranquillo, la gente non si intimorisce da eventuali petardi della torre che esplodono inavvertitamente cadendo a terra, la festa per ringraziare il Sole deve continuare!...                      Dopo una ristoratrice notte (rientro a casa sulla camionetta, 3 davanti e 11 nel cassone!) la nuova giornata si apre con le visite alle mamme dei nostri ospiti, la madre di Rosi abita non molto distante, portiamo con noi 2 sacchi di patate, due sacchi (uguali) di riso e i contenitori con le zuppe regalateci il giorno prima, ovviamente è da ripartire tra le due mamme.                         La casa che si presenta a noi è una costruzione di due stanze in blocchi e cemento, un tetto per la pioggia e all’nterno sacchi e cose varie, una modesta stanza è l’unica traccia di indipendenza che la donna ha per se, il resto del giorno lo passa fuori a curare l’orto e gli animali che, tranquillamente circolano intorno, sereni di stare a casa loro...ha 88 anni e una vitalità invidiabile, ci parla in kichua e in spagnolo, quando la lasceremo dicendole kaiakama (arrivederci), mi regalerà un bel sorriso complice del mio uso della sua lingua...altrettanto passerà con la madre di Alberto, resa cieca dall’avere dato alla luce una numerosa famiglia, quando Alberto compi i 30 anni fu operata agli occhi (una semplce cataratta) che le restitui’ la vista e che le fece vedere per la prima volta i suoi figli...                          In mattinata altra visita e atro invito a consumare un pasto frugale (caspita, la fregola, ma non mi do per vinto, mangerò poco!) composto da riso, fegatelli e fagioli, innaffiato dalla “Chicha”(la bevanda di mais, questa volta leggera...), nella casa vicina un gruppo di giovani con le faccie dipinte di nero (la tradizione lo vuole) e con divertenti e comici costumi (sembra quasi carnevale) inventati per l’occasione, ballando e suonando compiono la tradizione di portare la buona fortuna alla casa, sicuramente il rito continuerà di casa in casa fino ad arrivare al luogo della festa.                       E ci siamo! Ritornati a casa, che lo vogliano o no, preparo gli ingredienti per la Fregola...indago su quanto appetito sia rimasto ai nostri amici...ed è fatta! Il nostro piatto sardo è sulla tavola, ci sono riuscito!! La Rosi per prima prova la zuppa e con un ...mmm, bueno! mi fà felice, ci fà felici perchè in quel momento rappresentavo tutta l’Isola!!!...la fregola ha conquistato un posto nella cultura Andina!.                      Il dopo pranzo è rapido, Rosi e Alberto presi da una febbricitante ansietà si preparano come per andare a un matrimonio,macchè matrimonio, è la festa di Inti Raymi!! bisogna ritornare a San Clemente a ballare!!!              Ripresi i nostri amici del giorno prima, la camionetta percorre la strada agevolmente sotto uno splendido sole/nubi/variabile accogliendo nel cassone due anziani che, sul ciglio della strada, evidentemente desideravano recarsi alla festa ma per le loro condizioni sarebbe risultata una gran fatica arrivarci...nelle case intorno a noi si vive l’allegria, gruppi di danzatori e suonatori allontanano i cattivi spiriti...sempre più gente fa si che la strada diventi per una volta all’anno, tanto trafficata.                    E di nuovo alla festa, sotto le tende si continua a friggere e a vendere i manicaretti che vengono apprezzati da un pubblico sempre più numeroso, i petardi e la musica con i suoi soliti ritmi ci accolgono in un mare di danzatori che si uniscono alla Gande Festa!!!                  E qui finalmente capiamo il perchè vero delle galline e dei gaii vivi!...è “ l’offerta” (anche qui lo stesso discorso, una volta si faceva al Sole ed ora alla Vergine), a Rosi le hanno consegnato una gallina, ad altri un brik di vino o di succo di frutta, con questa “arma”, che non molleranno più fin che la festa non finisca, balleranno il ritmo sincopato (credo che l’animale alla fine chieda di essere abbattuto...) danzando fino a sfinire e con felicità pensare all’appuntamento del prossimo anno!                    Ma è ora di partire, salutata Rosi con un rapido bacio (impossibile che si fermi) ci avviamo con Alberto a Ibarra, per la strada gruppi di danzatori si vanno aggiungendo alle centinaia di persone che affollano lo sterrato della festa, è il tripudio finale, sappiamo che stiamo lasciando alle spalle un bel ricordo e siamo coscienti di avere avuto il grande onore di essere stati ospiti di un popolo millenario che ripete anno dopo anno il rito che permette loro di mantenere l’equilibrio con la natura, rispettandola ed amandola...il mezzo percorre adesso rapidamente la discesa che ci porta al bus che ci riporterà a Quito... è un altrettanto rapido “arrivederci” sono convinto però che sarà il primo di altri appuntamenti che, fino ad ora, mi ha riportato in questa splendida terra americana che si chiama Ecuador...             Saliamo nel bus che ci accoglie con i suoi comodi sedili in velluto  giallo e ai vetri le solite tendine con frange, un televisore che per tutto il viaggio rimarrà spento...e la musica merenghe/salsa/baciata...che ci accompagnerà, e i venditori ambulanti che cercheranno fino all’ultimo di guadagnarsi la giornata...e il paesaggio che scorre dai finestrini che ci regala, nel sole che ci saluta, spettacolari visioni del vulcano Cayambe (5790 mt) ricoperto da un bavaglio di neve...mentre la notte spegne gli ultimi raggi del sole... Napaikui!