Memorie di un viaggiatore qualsiasi…CUENCA!!
Svegliatomi all'alba (verso le 6, come al solito...), mi trovo ad aspettare
la partenza del “busetto” ovvero, un pulmino da 9 posti, compreso l'autista, della
"Elite Tours", che mi porterà (dietro suggerimenti vari) in tre ore (invece
delle 4/5 ore delle linee bus ...), nella citta di Cuenca. Siamo 6 passeggeri più l'autista,
comodamente seduti nel mezzo abbastanza nuovo, che, lasciata la città di Loja,
e la sua piccola valle, si muove agilmente affrontando le tante curve della
strada a due corsie, per percorrere i 200 chilometri che ci separano da
Cuenca. Fatti pochi chilometri, scopriamo che non
siamo dei comuni passeggeri... infatti, il conduttore del mezzo ci avverte che,
in caso di un controllo della polizia..., se ci dovessero domandare che ci
facciamo nel pulmino..., di rispondere che siamo turisti... (in poche parole,
da passeggeri ci sentiamo...attori!), invitandoci a memorizzare il nome di una
tale... (nome e cognome che io, rapidamente ho dimenticato...), che sarebbe la
proprietaria di un'ipotetica agenzia di viaggi..., e che ci stà portando in
visita turistica a Cuenca (la fantasia per aggirare ostacoli burocratici non ha
confini...). Nessuno tra i presenti si scompone più di
tanto, forse perchè abituati ad utilizzare questa compagnia di trasporto
semi/ufficiale, per cui, io, altrettanto, riprendo a girovagare con i miei
pensieri e a guardare fuori lo spettacolo che si offre ai miei occhi. Il
paesaggio è delizioso, la natura verde e rigogliosa, a sprazzi nuvole
passeggere nascondono il sole, ma sempre la visione dei monti e delle vallate,
profonde, ed improvvise, continuano a distrarmi e a fissare nella mente, come
tante fotografie, tanta bellezza andina.
Dai finestrini vediamo scorrere, nel sali e scendi della strada statale
E35, nelle continue curve che il pulmino percorre velocemente, con poco
traffico, deliziosi paesetti montani che
attraversiamo. La necessità di
rallentare nei centri abitati, mi permette di osservare come gli abitanti siano
sempre affaccendati, nessuno che ozia per le strade e nessun vecchietto seduto
fuori dell'uscio della casa, tutti vestiti con i classici abiti andini, le
donne con le gonne plissettate, la camicia bianca bordata e l’immancabile
cappello, e gli uomini, dai lineamenti del viso serrani (dei monti), e tutti dichiarando
l'etinia "quechua"... Le tre ore di viaggio passano rapidamente,
senza nessuna fermata, e, poco a poco, il traffico e i paesi che incrociamo,
aumentano, fino a inoltrarci nella grande vallata che ospita l'antica città di
Cuenca (costruita sulle rovine di una città Inca, prese il nome, nel 1557,
della città spagnola omonima), capitale della provincia di Azuay. Nella
distesa di questo grande centro urbano, si riconosce l'elegante siluette delle
cupole azzurre dell'ottocentesca cattedrale, con i suoi colori delicati, che ci
ricordano che Cuenca è città dichiarata “Patrimonio Culturale dell'Umanità",
dall’Unesco. Il pulmino poco a poco và
scaricando i passeggeri ai vari semafori (e, l'autista...sempre controllando
che nessun poliziotto voglia fare un controllo di servizio...), fino a fermarsi
definitivamente di fronte a una specie di, ufficio dell'Elite Tours, in un
quartiere un pò periferico, e che mi costringe a prendere un taxi (prezzo
fisso, prendere o lasciare, 3 dollari) per proseguire fino al centro della
città. A Cuenca, il costo per viaggio in taxi
è secondo la valutazione del conduttore, ma, nel futuro prossimo (cosi mi
racconta l'autista), arriveranno obbligatoriamente e, finalmente, i tassametri
(dal momento che la citta` lavora molto col turismo, forse hanno avuto troppe
lamentele...). Arrivato nella piazza della cattedrale (correzione,
delle cattedrali...), decido di premiare le lunghe ore di viaggio con una meritata
colazione in uno dei vari caffè, sotto i portici. Il centro storico di Cuenca è grande e ben
conservato (sopratutto rispetto a Loja), la struttura della citta` antica si è
mantenuta sommariamente bene, belle case con deliziosi pati interiori, che riescono
a sorprendere continuamente, ed anche qui, case con, non più, di uno o due
piani. La cattedrale (detta, nuova, di
fine '800, per un errore di calcolo, costruirono 2 cupole in meno...) è
dirimpettaia alla vecchia che stà giusto dall'altra parte della piazza (costruita
nel 1567, è deliziosa, piccola, oggi un
museo, in parte costruita in legno, decorata con tanti colori e con tante
statue, tutte in legno, che meritano una visita). Le due chiese, come dicevo, stanno nella
piazza principale della città, però altre chiese e chiesette meritano d'essere
visitate, godendo di una piacevole passeggiata tra le strade del centro, e scoprire
altre piazze, ed altri edifici, ognuno con le sue particolarità, o tra i vari
mercatini che propongono le gettonate produzioni in lana, tutte prodotte
tassativamente in Ecuador. La città è
bagnata dal fiume Tomebamba, dove si affacciano le famose case “colganti”, che,
con i loro balconi in legno, ricordano
ancora una volta il passato spagnolo di questa urbe centroamericana...(a me,
Cuenca, ricorda la citta`di Belgrado, vai tu a capire perchè...). E da non perdere, la visita ai negozi / laboratori
che producono e vendono (ma sembra che la produzione vera e propria venga
eseguita nella vicina provincia di Manabì), il famoso "cappello di Panamà"
(fatto di fibre di palma nana). Da tempo, questo copricapo, conosciuto in
tutto il mondo, ha risvegliato nell'Amministrazione locale il desiderio di
riscattare e recuperare la fama di capitale del cappello “Panamá”. La storia racconta che, il nome dato a
questo copricapo, è perchè giusto nella capitale dell'omonimo stato, lo si commercializzava,
e da li si diffuse erroneamente l'dea che nella stessa Panamà, lo si producesse. In questi negozi trovi cappelli di tutti i
prezzi, per tutte le tasche e per tutte le teste..., partendo da pochi dollari
per arrivare a cifre elevate a seconda della qualità e della lavorazione. Ma
si e fatto tardi, la luce del sole mi avverte che fra poco le attività della
città, lentamente termineranno, per cui, acchiappo al volo (nel vero senso
della parola) un autobus di linea urbano diretto al “terminal terrestre dei bus”. Arrivato alla stazione, cerco lo sportello
per fare il biglietto per Quito, e qui, curiosamente, come in un bazaar, tanti
individui propongono, gridando, come in un vero e proprio mercato, l'acquisto
di biglietti per le differenti destinazioni, ma fra tutte, la più
"gettonata" è la corsa per Quito...
E dopo avere passeggiato tra le
varie biglietterie che espongono gli orari, decido che, per percorrere le 9 ore
che mi separano dalla capitale, viaggerò con la cooperativa “Ibabura”
(consigliatami nel frattempo, da una addetta al servizio turistico nell'ufficio
della stazione), e che partirà alle 21 (per arrivare all’alba...). Nell’attesa,
approfitto per curiosare tra i negozietti, e mi fermo davanti a un chioschetto
che gestisce una simpatica signora (vendita di... patatine, banane fritte,
acqua, bibite, dolci...), e che mi racconta la sua storia. Felice nonna, però ancora giovane, annoiata di starsene a casa, decise di
comprare il chioschetto (che la costringe a stare quasi 12 ore ogni giorno), ma
che l'aiuta, sia ad arrotondare la pensione, che a conoscere tanta gente di
passaggio, ed io, ovviamente, attirato dalle tante proposte esposte, mi decido
ad acquistare delle marmellate di guayaba, tanto per appesantire il mio
zainetto... Salutata la simpatica venditrice, mi fermo a
consumare un pasto per continuare ad ingannare il tempo (ma si, anche per
riempire la pancia...), e decido quindi per un “pollo con broster y menestra” (praticamente,
pollo, riso e fagioli), e l'immancabile “aji" per insaporire di più,
il tutto... Nella stazione intanto, i negozietti e i
ristorantini, chiudono i battenti, le anime che la vivono, poco a poco l’abbandonano,
e finalmente, alle 20,30, arriva il mio autobus, dandomi, per l’ennesima volta,
la sensazione che non sempre quello che ti raccontano è l’assoluta
verità...infatti il bus, con tanti anni di servizio e acciacchi dichiarati, non
è quello che si direbbe, il massimo della comodità..., e che il viaggio che era
annunciato “senza fermate intermedie”, si presenta immediatamente come la
classica “tradotta” di antiche memorie...
Ma non fà niente, con in mente il desiderio di
vivere una nuova avventura, mi sistemo nella poltrona assegnatami, mentre il
bus inizia a farsi strada nel traffico già molto più rado, e cercando comunque
di dormire. E nella notte, tra una
fermata e l’altra..., la necessità di andare al bagno mi spinge a chiedere all’autista
la chiave del piccolo bagno del bus. E,
tra il sonno e l’incredulità di quello che mi diceva...(praticamente, o non
aveva voglia di darmi la chiave, o non funzionava il...cesso) , scalzo, senza
le scarpe...sceso dal mezzo, tra pozzanghere di...acqua?... mi sbrigai a
soddisfare la mia necessità direttamente sul marciapiede! (l'autista mi disse..,.
in strada, non cè polizia...fallo pure fuori del bus), e in tutta fretta (non
sia mai che ripartano lasciandomi sul marciapiede...), rientrai a sedermi (accanto
a me viaggiava un prete che, svegliandosi, mi chiese per il bagno, alla mia
risposta, bisogna scendere e farla per strada...decise che era meglio
tenersela...). Alle 5,30, con una mezz’ora di anticipo, il
bus della compagnia Ibabura arriva al centro di Quito, tra un'umanità assonnata,
chi in arrivo e chi in partenza, e tutta raccolta dentro e fuori la piccola
stazione. Ed io, che non ho nessuna
intenzione da farmi rapinare dal taxista nottambulo..., aspetto che il sole
aiuti gli esseri umani a ripopolare, come un set cinematografico, la città, e, approfittando
di una venditrice, che per 1 dollaro mi serve, in un bicchiere di plastica, un
caffè caldo (zuccheratissimo!!!), accompagnata dal marito, mezzo ubriaco, con
il compito di incassare la vendita del caffè... E, come per magia, mano a mano che il sole
inizia ad illuminare le strade, poco a
poco appaiono gli abitanti di Quito, che mi incoraggiano a percorrere con
tranquillitá le strade che prima erano al buio e deserte, fino a raggiungere il
bus urbano che, come sua abitudine..., arriva spargendo per le strade il suo
carico di inquinamento, ed io, felice per sentirmi "uno del luogo", salgo
sul mezzo, pagando i miei 25 centavos, diretto al mio rifugio, alla casa di Rita
Minoli. Napaykuy...venditrice
di caffè superzuccherato...napaykuy...marito borracho!!!