IL VIAGGIAORE QUALSIASI IL 5 LUGLIO 2010 SCRISSE:
Dopo
un viaggio abbastanza comodo arriviamo che ci aspetta Alberto (lavora come guardia privata in una rete
di supermercati) con la sua camionetta nuova nuova (per
un equatoriano con lo stipendio che guadagna, circa 300 dollari al mese non cè da stare allegri ), montiamo nel cassone sotto
un bel sole/nubi/variabile ed accompagnati da una gallina viva...alla nostra richiesta del perchè l’animale vivo...accenni e parole mezzo rotte che non ci permettono
di capire...bene, comunque si parte per la Esperanza dove ci aspetta una bella casetta che è il nido d’amore dei due... La casa
di Rosi e Alberto è stata disegnata da
un architetto che ha utilizzato i materiali abbondanti nella zona come per esempio il legno
di eucalipto, il risultato è una deliziosa casa molto accogliente, con le travi che scorrono in fughe e scorci che rendono il tutto piacevole e rilassante. Dopo la sistemazione e
un veloce pranzo usciamo per andare sul luogo della festa, viaggio in camionetta in piedi a “sfidare” l’aria (non ho più l’età ma la cosa meritava) e salita rapida sul monte scorrendo velocemente le centinaia
di metri in su...e finalmente a San Clemente!
Il villaggio in effetti non è quello che possiamo pensare noi, le case si perdono tranquille nel mare verde dell’abbondante natura che regala la terra del monte Ibabura, forse in tutto arriveranno ai 1.800 abitanti che per l’occasione della festa sicuramente si riuniranno numerosi per festeggiare. Con la gallina viva e
un cartone
di vini in brick facciamo ingresso in una casa grande ma molto semplice, terreno battuto e ricordi
di pavimenti in cemento ci accolgono, sotto la tettoia troviamo vari indigeni che in silenzio, consumano
un pasto semplice ma abbondante che la padrona
di casa ha loro offerto. Qui bisogna spiegare bene cosa succede, ogni anno il paese sceglie la famiglia che dovrà farsi carico dell’accoglienza dei visitanti ospiti (tra
di loro parenti ed amici) per cui si organizza utilzzando i prodotti che la stessa terra dà, primo fra tutti il mais
di cui cè grande abbondanza che viene proposto in differenti varietà, dalla minestra, al pane, al succo, al dolce liquido (una crema con arancia e zucchero
di canna, “champus”) e infine al liquore (“chicha”) leggero o forte, varianti sono la carne che appare nel brodo
di mais. Il lavoro viene svolto grazie all’aiuto
di molte donne che per giorni preparano l’accoglienza, per questo ogni amico che arriva porta alla casa cibarie per aiutare e contribuire alla festa (dello stomaco) e tra questi le galline o galli vivi perchè tanti e tanti sono quelli che vengono offerti che se arrivassero già “deceduti” avrebbero necessità
di congelatori e li...(ma la storia della gallina non finisce qui). Consegna
ta la gallina e il vino ci sediamo all’interno
di una casa annessa, la semplicità e la povertà ci accolgono, capiamo immediatamente che anche a noi toccherà una razione
di minestra (caspita, la fregola, e adesso, quando la faccio?, 1 a 0 per gli equatoriani!) infatti dopo poco arriva gentilissima una ragazza (in costume del paese, ma li’ alla fine eravamo noi “fuori luogo”) che incomincia a distribuire abbondanti razioni
di zuppa, incominciamo a mangiare e ritorna con una “bacinella” piena
di zuppa e poi
un’altra...e poi cesti con pane e banane...io e l’amica americana ci guardiamo con stupore, ma la dobbiamo mangiare tutta noi e adesso?! Ci viene in aiuto la Rosi che ci rassicura, i contenitori
di plastica che aveva portato nella camionetta serviranno giusto per portarsi via il contenuto delle bacinelle...tutto calcolato, tutto previsto, ogni anno si ripete il rito...e se proprio non riusciamo a finire la zuppa, niente paura, quello che avanza si porta via...sempre cè qualcuno che ha necessità
di mangiare... Nel mentre che consumavamo entravano ed uscivano continuamente uomini (alcuni con gambali alla vita fatti con pelli
di caprone tipo cow-boy) e donne con il vestito del luogo (adesso lo descrivo: gonna plissettata con lame strette e camicia bianca con sbuffi e bordature in pizzo dello stesso colore della gonna, assolutamente importante il richiamo dei colori, collane
di vetro dorato, grandezza
di una lenticchia, ogni pezzo, con molti fili, quanti siano i fili è una scelta propria, orecchini e, immancabili sia il cappello
di feltro con piuma
di pavone che vari scialli tipo copertine che all’occorrenza servianno per proteggere dal freddo, e infine scarpe
di tela nera aperte tipo
di corda con
un leggero tacco). A fine “merenda” salutiamo coloro che fino ad allora non avevamo salutato (cè
un grande rispetto da parte
di tutti e per tutti) e arriviamo, sempre nella camionetta
di Alberto, a
un agriturismo (si chiama Pukiu-Pampa, a quota 2.890 mt. ed è una delle punte avanzate del turismo della zona,
www.sclemente.com ) dove ci accolgono offrendoci
un delizioso thè
di cedrina accompagnato da pane e confettura
di more fatti da loro, finita la seconda...merenda ci ivitano a ballare su
un tappeto
di fagioli secchi, la tradizione vuole che l’ospite una volta consumato, balli sui fagioli...questo perchè essendo secchi, si apriranno grazie allo sfregamento dei piedi...è la tradizione! Salutati i nostri amici dell’agriturismo ci spostiamo
di nuovo a casa, Rosi e Alberto però non ci concedono tregua, bisogna fare in fretta perchè si torna sù alla festa e questa volta con
un carico maggiore, si uniscono a noi la nipote con il marito e i loro 3 figli insieme alla nonna con il classico cappello e varie coperte, vengono con noi a San Clemente. Arriviamo che si è già rinfrescata l’aria, effettivamente gli evvertimenti fattici
di portarci roba pesante non erano invano, la festa del villaggio è in corso, due le orchestrine su differenti palchi (che da noi non supererebbero nessuna autorizzazione...) allietano le danze, insieme a gruppi spontanei che suonano ritmi uguali usando violino, tamburo, chiatarra...insomma, quello che si ha! Poco a poco si vanno creando nuovi gruppi
di danza, la cosa curiosa è che “non è una vera e propria danza”, si cammina “ballettando” in cerchio...la danza ricorda vagamente i ritmi degli indiani d’america del nord (vi ricordate le danze intorno al fuoco dei film western) con
un ritmo più allegro (sudamericano...con le influenze della musica latina) è comunque sempre lo stesso motivo con piccole variazioni, a
un cambio
di suono i danzatori si girano cambiando il senso della marcia... Intorno e dentro il campo della festa infiniti coloro che accendono dardi e petardi (alla faccia della sicurezza) uniti ai venditori che cucinano i più svariati piatti, dalla carne con verdure infilzati in spiedini
di legno alla classica pannocchia
di mais cotta al bracere imburrata e spruzzata
di formaggio, alle frittelle e al pesce fritto , con pochi centesimi ci si bea e ci si diverte semplicemente. Il momento culminante della notte sono i fuochi artificiali, creati con maestria, montati (lo scoprirò dopo) su torri
di bambù alte 12 metri! E fatte girare continuamente affinchè tutto il pubblico possa godere dello spettacolo...intorno alle torri la danza continua, è come
un delirante e impossibile da fermare “Sabba” è come
un delirio però tranquillo, la gente non si intimorisce da eventuali petardi della torre che esplodono inavvertitamente cadendo a terra, la festa per ringraziare il Sole deve continuare!...
Dopo una ristoratrice notte (rientro a casa sulla camionetta, 3 davanti e 11 nel cassone!) la nuova giornata si apre con le visite alle mamme dei nostri ospiti, la madre
di Rosi abita non molto distante, portiamo con noi 2 sacchi
di patate, due sacchi (uguali)
di riso e i contenitori con le zuppe regalateci il giorno prima, ovviamente è da ripartire tra le due mamme. La casa che si presenta a noi è una costruzione
di due stanze in blocchi e cemento,
un tetto per la pioggia e all’nterno sacchi e cose varie, una modesta stanza è l’unica traccia
di indipendenza che la donna ha per se, il resto del giorno lo passa fuori a curare l’orto e gli animali che, tranquillamente circolano intorno, sereni
di stare a casa loro...ha 88 anni e una vitalità invidiabile, ci parla in kichua e in spagnolo, quando la lasceremo dicendole kaiakama (arrivederci), mi regalerà
un bel sorriso complice del mio uso della sua lingua...altrettanto passerà con la madre
di Alberto, resa cieca dall’avere dato alla luce una numerosa famiglia, quando Alberto compi i 30 anni fu operata agli occhi (una semplce cataratta) che le restitui’ la vista e che le fece vedere per la prima volta i suoi figli... In mattinata altra visita e atro invito a consumare
un pasto frugale (caspita, la fregola, ma non mi do per vinto, mangerò poco!) composto da riso, fegatelli e fagioli, innaffiato dalla “Chicha”(la bevanda
di mais, questa volta leggera...), nella casa vicina
un gruppo
di giovani con le faccie dipinte
di nero (la tradizione lo vuole) e con divertenti e comici costumi (sembra quasi carnevale) inventati per l’occasione, ballando e suonando compiono la tradizione
di portare la buona fortuna alla casa, sicuramente il rito continuerà
di casa in casa fino ad arrivare al luogo della festa. E ci siamo! Ritornati a casa, che lo vogliano o no, preparo gli ingredienti per la Fregola...indago su quanto appetito sia rimasto ai nostri amici...ed è fatta! Il nostro piatto sardo è sulla tavola, ci sono riuscito!! La Rosi per prima prova la zuppa e con
un ...mmm, bueno! mi fà felice, ci fà felici perchè in quel momento rappresentavo tutta l’Isola!!!...la fregola ha conquistato
un posto nella cultura Andina!. Il dopo pranzo è rapido, Rosi e Alberto presi da una febbricitante ansietà si preparano come per andare a
un matrimonio,macchè matrimonio, è la festa
di Inti Raymi!! bisogna ritornare a San Clemente a ballare!!! Ripresi i nostri amici del giorno prima, la camionetta percorre la strada agevolmente sotto uno splendido sole/nubi/variabile accogliendo nel cassone due anziani che, sul ciglio della strada, evidentemente desideravano recarsi alla festa ma per le loro condizioni sarebbe risultata una gran fatica arrivarci...nelle case intorno a noi si vive l’allegria, gruppi
di danzatori e suonatori allontanano i cattivi spiriti...sempre più gente fa si che la strada diventi per una volta all’anno, tanto trafficata. E
di nuovo alla festa, sotto le tende si continua a friggere e a vendere i manicaretti che vengono apprezzati da
un pubblico sempre più numeroso, i petardi e la musica con i suoi soliti ritmi ci accolgono in
un mare
di danzatori che si uniscono alla Gande Festa!!! E qui finalmente capiamo il perchè vero delle galline e dei gaii vivi!...è “ l’offerta” (anche qui lo stesso discorso, una volta si faceva al Sole ed ora alla Vergine), a Rosi le hanno consegnato una gallina, ad altri
un brik
di vino o
di succo
di frutta, con questa “arma”, che non molleranno più fin che la festa non finisca, balleranno il ritmo sincopato (credo che l’animale alla fine chieda
di essere abbattuto...) danzando fino a sfinire e con felicità pensare all’appuntamento del prossimo anno! Ma è ora
di partire, salutata Rosi con
un rapido bacio (impossibile che si fermi) ci avviamo con Alberto a Ibarra, per la strada gruppi
di danzatori si vanno aggiungendo alle centinaia
di persone che affollano lo sterrato della festa, è il tripudio finale, sappiamo che stiamo lasciando alle spalle
un bel ricordo e siamo coscienti
di avere avuto il grande onore
di essere stati ospiti
di un popolo millenario che ripete anno dopo anno il rito che permette loro
di mantenere l’equilibrio con la natura, rispettandola ed amandola...il mezzo percorre adesso rapidamente la discesa che ci porta al bus che ci riporterà a Quito... è
un altrettanto rapido “arrivederci” sono convinto però che sarà il primo
di altri appuntamenti che, fino ad ora, mi ha riportato in questa splendida terra americana che si chiama Ecuador... Saliamo nel bus che ci accoglie con i suoi comodi sedili in velluto giallo e ai vetri le solite tendine con frange,
un televisore che per tutto il viaggio rimarrà spento...e la musica merenghe/salsa/baciata...che ci accompagnerà, e i venditori ambulanti che cercheranno fino all’ultimo
di guadagnarsi la giornata...e il paesaggio che scorre dai finestrini che ci regala, nel sole che ci saluta, spettacolari visioni del vulcano Cayambe (5790 mt) ricoperto da
un bavaglio
di neve...mentre la notte spegne gli ultimi raggi del sole...
Napaikui!