domingo, 19 de mayo de 2013

CUENCA!!


Memorie di un viaggiatore qualsiasi…CUENCA!!
Svegliatomi all'alba (verso le 6, come al solito...), mi trovo ad aspettare la partenza del “busetto” ovvero, un pulmino da 9 posti, compreso l'autista, della "Elite Tours", che mi porterà (dietro suggerimenti vari) in tre ore (invece delle 4/5 ore delle linee bus ...), nella citta di Cuenca.   Siamo 6 passeggeri più l'autista, comodamente seduti nel mezzo abbastanza nuovo, che, lasciata la città di Loja, e la sua piccola valle, si muove agilmente affrontando le tante curve della strada a due corsie, per percorrere i 200 chilometri che ci separano da Cuenca.   Fatti pochi chilometri, scopriamo che non siamo dei comuni passeggeri... infatti, il conduttore del mezzo ci avverte che, in caso di un controllo della polizia..., se ci dovessero domandare che ci facciamo nel pulmino..., di rispondere che siamo turisti... (in poche parole, da passeggeri ci sentiamo...attori!), invitandoci a memorizzare il nome di una tale... (nome e cognome che io, rapidamente ho dimenticato...), che sarebbe la proprietaria di un'ipotetica agenzia di viaggi..., e che ci stà portando in visita turistica a Cuenca (la fantasia per aggirare ostacoli burocratici non ha confini...).    Nessuno tra i presenti si scompone più di tanto, forse perchè abituati ad utilizzare questa compagnia di trasporto semi/ufficiale, per cui, io, altrettanto, riprendo a girovagare con i miei pensieri e a guardare fuori lo spettacolo che si offre ai miei occhi.     Il paesaggio è delizioso, la natura verde e rigogliosa, a sprazzi nuvole passeggere nascondono il sole, ma sempre la visione dei monti e delle vallate, profonde, ed improvvise, continuano a distrarmi e a fissare nella mente, come tante fotografie, tanta bellezza andina.  Dai finestrini vediamo scorrere, nel sali e scendi della strada statale E35, nelle continue curve che il pulmino percorre velocemente, con poco traffico, deliziosi  paesetti montani che attraversiamo.   La necessità di rallentare nei centri abitati, mi permette di osservare come gli abitanti siano sempre affaccendati, nessuno che ozia per le strade e nessun vecchietto seduto fuori dell'uscio della casa, tutti vestiti con i classici abiti andini, le donne con le gonne plissettate, la camicia bianca bordata e l’immancabile cappello, e gli uomini, dai lineamenti del viso serrani (dei monti), e tutti dichiarando l'etinia "quechua"...     Le tre ore di viaggio passano rapidamente, senza nessuna fermata, e, poco a poco, il traffico e i paesi che incrociamo, aumentano, fino a inoltrarci nella grande vallata che ospita l'antica città di Cuenca (costruita sulle rovine di una città Inca, prese il nome, nel 1557, della città spagnola omonima), capitale della provincia di Azuay.      Nella distesa di questo grande centro urbano, si riconosce l'elegante siluette delle cupole azzurre dell'ottocentesca cattedrale, con i suoi colori delicati, che ci ricordano che Cuenca è città dichiarata “Patrimonio Culturale dell'Umanità", dall’Unesco.    Il pulmino poco a poco và scaricando i passeggeri ai vari semafori (e, l'autista...sempre controllando che nessun poliziotto voglia fare un controllo di servizio...), fino a fermarsi definitivamente di fronte a una specie di, ufficio dell'Elite Tours, in un quartiere un pò periferico, e che mi costringe a prendere un taxi (prezzo fisso, prendere o lasciare, 3 dollari) per proseguire fino al centro della città.            A Cuenca, il costo per viaggio in taxi è secondo la valutazione del conduttore, ma, nel futuro prossimo (cosi mi racconta l'autista), arriveranno obbligatoriamente e, finalmente, i tassametri (dal momento che la citta` lavora molto col turismo, forse hanno avuto troppe lamentele...).     Arrivato nella piazza della cattedrale (correzione, delle cattedrali...), decido di premiare le lunghe ore di viaggio con una meritata colazione in uno dei vari caffè, sotto i portici.   Il centro storico di Cuenca è grande e ben conservato (sopratutto rispetto a Loja), la struttura della citta` antica si è mantenuta sommariamente bene, belle case con deliziosi pati interiori, che riescono a sorprendere continuamente, ed anche qui, case con, non più, di uno o due piani.    La cattedrale (detta, nuova, di fine '800, per un errore di calcolo, costruirono 2 cupole in meno...) è dirimpettaia alla vecchia che stà giusto dall'altra parte della piazza (costruita nel 1567, è deliziosa,  piccola, oggi un museo, in parte costruita in legno, decorata con tanti colori e con tante statue, tutte in legno, che meritano una visita).     Le due chiese, come dicevo, stanno nella piazza principale della città, però altre chiese e chiesette meritano d'essere visitate, godendo di una piacevole passeggiata tra le strade del centro, e scoprire altre piazze, ed altri edifici, ognuno con le sue particolarità, o tra i vari mercatini che propongono le gettonate produzioni in lana, tutte prodotte tassativamente in Ecuador.    La città è bagnata dal fiume Tomebamba, dove si affacciano le famose case “colganti”, che, con i  loro balconi in legno, ricordano ancora una volta il passato spagnolo di questa urbe centroamericana...(a me, Cuenca, ricorda la citta`di Belgrado, vai tu a capire perchè...).     E da non perdere, la visita ai negozi / laboratori che producono e vendono (ma sembra che la produzione vera e propria venga eseguita nella vicina provincia di Manabì), il famoso "cappello di Panamà" (fatto di fibre di palma nana).   Da tempo, questo copricapo, conosciuto in tutto il mondo, ha risvegliato nell'Amministrazione locale il desiderio di riscattare e recuperare la fama di capitale del cappello “Panamá”.    La storia racconta che, il nome dato a questo copricapo, è perchè giusto nella capitale dell'omonimo stato, lo si commercializzava, e da li si diffuse erroneamente l'dea che nella stessa Panamà, lo si producesse.   In questi negozi trovi cappelli di tutti i prezzi, per tutte le tasche e per tutte le teste..., partendo da pochi dollari per arrivare a cifre elevate a seconda della qualità e della lavorazione.      Ma si e fatto tardi, la luce del sole mi avverte che fra poco le attività della città, lentamente termineranno, per cui, acchiappo al volo (nel vero senso della parola) un autobus di linea urbano diretto al “terminal terrestre dei bus”.    Arrivato alla stazione, cerco lo sportello per fare il biglietto per Quito, e qui, curiosamente, come in un bazaar, tanti individui propongono, gridando, come in un vero e proprio mercato, l'acquisto di biglietti per le differenti destinazioni, ma fra tutte, la più "gettonata" è la corsa per Quito...     E dopo avere passeggiato tra le varie biglietterie che espongono gli orari, decido che, per percorrere le 9 ore che mi separano dalla capitale, viaggerò con la cooperativa “Ibabura” (consigliatami nel frattempo, da una addetta al servizio turistico nell'ufficio della stazione), e che partirà alle 21 (per arrivare all’alba...).    Nell’attesa, approfitto per curiosare tra i negozietti, e mi fermo davanti a un chioschetto che gestisce una simpatica signora (vendita di... patatine, banane fritte, acqua, bibite, dolci...), e che mi racconta la sua storia.   Felice nonna, però ancora giovane,  annoiata di starsene a casa, decise di comprare il chioschetto (che la costringe a stare quasi 12 ore ogni giorno), ma che l'aiuta, sia ad arrotondare la pensione, che a conoscere tanta gente di passaggio, ed io, ovviamente, attirato dalle tante proposte esposte, mi decido ad acquistare delle marmellate di guayaba, tanto per appesantire il mio zainetto...     Salutata la simpatica venditrice, mi fermo a consumare un pasto per continuare ad ingannare il tempo (ma si, anche per riempire la pancia...), e decido quindi per un “pollo con broster y menestra” (praticamente, pollo, riso e fagioli), e l'immancabile “aji" per insaporire di più, il tutto...    Nella stazione intanto, i negozietti e i ristorantini, chiudono i battenti, le anime che la vivono, poco a poco l’abbandonano, e finalmente, alle 20,30, arriva il mio autobus, dandomi, per l’ennesima volta, la sensazione che non sempre quello che ti raccontano è l’assoluta verità...infatti il bus, con tanti anni di servizio e acciacchi dichiarati, non è quello che si direbbe, il massimo della comodità..., e che il viaggio che era annunciato “senza fermate intermedie”, si presenta immediatamente come la classica “tradotta” di antiche memorie...                            Ma non fà niente, con in mente il desiderio di vivere una nuova avventura, mi sistemo nella poltrona assegnatami, mentre il bus inizia a farsi strada nel traffico già molto più rado, e cercando comunque di dormire.   E nella notte, tra una fermata e l’altra..., la necessità di andare al bagno mi spinge a chiedere all’autista la chiave del piccolo bagno del bus.   E, tra il sonno e l’incredulità di quello che mi diceva...(praticamente, o non aveva voglia di darmi la chiave, o non funzionava il...cesso) , scalzo, senza le scarpe...sceso dal mezzo, tra pozzanghere di...acqua?... mi sbrigai a soddisfare la mia necessità direttamente sul marciapiede! (l'autista mi disse..,. in strada, non cè polizia...fallo pure fuori del bus), e in tutta fretta (non sia mai che ripartano lasciandomi sul marciapiede...), rientrai a sedermi (accanto a me viaggiava un prete che, svegliandosi, mi chiese per il bagno, alla mia risposta, bisogna scendere e farla per strada...decise che era meglio tenersela...).      Alle 5,30, con una mezz’ora di anticipo, il bus della compagnia Ibabura arriva al centro di Quito, tra un'umanità assonnata, chi in arrivo e chi in partenza, e tutta raccolta dentro e fuori la piccola stazione.    Ed io, che non ho nessuna intenzione da farmi rapinare dal taxista nottambulo..., aspetto che il sole aiuti gli esseri umani a ripopolare, come un set cinematografico, la città, e, approfittando di una venditrice, che per 1 dollaro mi serve, in un bicchiere di plastica, un caffè caldo (zuccheratissimo!!!), accompagnata dal marito, mezzo ubriaco, con il compito di incassare la vendita del caffè...   E, come per magia, mano a mano che il sole inizia ad illuminare le strade,  poco a poco appaiono gli abitanti di Quito, che mi incoraggiano a percorrere con tranquillitá le strade che prima erano al buio e deserte, fino a raggiungere il bus urbano che, come sua abitudine..., arriva spargendo per le strade il suo carico di inquinamento, ed io, felice per sentirmi "uno del luogo", salgo sul mezzo, pagando i miei 25 centavos,  diretto al mio rifugio, alla casa di Rita Minoli.                                                                                                                                                                            Napaykuy...venditrice di caffè superzuccherato...napaykuy...marito borracho!!!





















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